Hannibal
Lecter chiedeva a Clarice come cominciamo a desiderare e diceva che
il desiderio nasce da ciò che osserviamo ogni giorno. Quindi, cosa
ho osservato tanto da far nascere il mio desiderio di viaggiare?
Documentari e libri d'avventura, gente con le valigie nelle stazioni
che aspettavano un treno per chissà dove, aerei che passavano in
cielo... e un atlante De Agostini di fine anni Settanta che per
quanto pesava doveva essere rilegato in cemento armato.
Lo
sfogliavo in continuazione passando dalle meraviglie del sistema
solare alle pietre preziose nella sezione di geologia fino alle mappe
dei continenti.
Quando
ero ragazzina c'erano l'Urss, una Berlino tagliata a metà e la
Jugoslavia. La Jugoslavia era un posto dove il mare era molto bello e
i bambini erano molto poveri. In estate, però, il mare portava loro
tanti giocattoli di plastica colorata, palloni, secchielli e formine
perduti tra le onde da bambini che, come me, trascorrevano le vacanze
in Romagna.
Il
mondo di allora era tanto diverso da quello di oggi quanto le mie
fantasie erano lontane dalla realtà, ma è inseguendo quelle
fantasie che sono andata a vedere certi luoghi, a dare una forma, un
odore e un sapore ai nomi strani sulle cartine geografiche, è
inseguendo fantasie che dalla Romagna sono approdata in Zambia, in
Australia, in Indonesia, in Kenya, in Messico, in Cambogia, in
Botswana, in Thailandia, su e giù per l'Italia e fino alle Hawaii.
Da
lontano, dalla sicurezza delle nostre casette, ci facciamo
scoraggiare da mille timori infondati, da mille pregiudizi inculcati
da cattiva o scarsa informazione. I pericoli che si corrono
viaggiando, sono gli stessi che ci aspettano sotto casa, quindi non
ha senso temere di esplorare il resto del mondo. Certo, se prenoti un
volo per una zona di guerra sei un deficiente, ma mi riferisco
all'immotivata diffidenza verso culture diverse e ambienti selvaggi. Paura, pigrizia e mancanza di soldi sono tutti ostacoli superabili se si è disponibili a un po' di sacrificio. E comunque, tutti possono viaggiare: basta aprire un libro.
Quando
sei là, nel luogo che da casa ti sembrava irraggiungibile, scopri
che la vita è molto più semplice di quanto ti aspettassi: la gente
ti capisce anche se parli male la sua lingua; un viaggio scomodo può
portarti a una meta di tale bellezza da farti dimenticare la fatica;
osservare un animale selvatico, libero nel suo ambiente naturale, è
un'emozione impagabile; assaggiare i piatti tipici ti introduce alla
cultura locale; sbagliare autobus in un Paese straniero diventa
occasione di incontri e scoperte; chiedere consiglio agli abitanti
del luogo è molto più istruttivo e interessante che consultare una
guida stampata; sostenere la salvaguardia della natura, che con le
sue bellezze ci stupisce sempre, è motivo d'orgoglio.
Mi manca tutto del viaggio, perfino gli incidenti e gli imprevisti. Mi manca la fatica sul sentiero J3 nel Parco Nazionale d'Abruzzo che era così ripido da farmi desiderare di arrendermi e lasciarmi rotolare a valle. Mi manca l'orribile stanza al Motel Cowboy di Guerrero Negro in Messico e i posti di blocco lungo la Carretera Transpeninsular dove i cani antidroga si sentivano male per aver annusato il nostro sacchetto della biancheria sporca. Mi manca lavarmi alla luce di una torcia versandomi addosso un secchio d'acqua pescata nel pozzo del Way Kambas National Park. Mi manca l'autobus scassato e affollato che per portarci da Bukit Lawang al lago Toba ha impiegato sei ore a percorrere ottanta chilometri. Mi mancano i terribili marciapiedi di Ubud che mi sono costati una storta proprio il giorno della partenza per l'Australia. Mi mancano le lunghe marce nella giungla con gli indumenti che ti si fondono addosso per l'umidità e il temporale improvviso che ci ha costretti a nuotare - letteralmente - tra gli alberi. Mi manca l'attesa che la strada venga sgomberata da una frana per proseguire il viaggio - cosa che mi è capitata sia in Indonesia che in Messico -. Mi manca il furgone in cui dormivamo in tre percorrendo la costa orientale australiana che consumava un chilo d'olio al giorno e ci faceva vergognare nei campeggi in mezzo ai veri camper. Mi manca il panico nel parco Aberdare in Kenya quando il motore del pulmino di Fred si è surriscaldato e abbiamo versato la nostra scorta d'acqua di una settimana nel radiatore sperando di non restare bloccati su quel sentiero dimenticato dai turisti. Mi manca il caldo infernale che mi ha fatto quasi svenire in una piazza in Thailandia o dopo il percorso tra le risaie terrazzate di Bali alle due del pomeriggio e mi manca il freddo terribile della notte trascorsa all'aeroporto di Città del Messico in attesa del volo per la Baja California.
Ma in fondo cosa sono una caviglia dolorante, i pantaloni strappati, le scarpe piene di fango e un paio di sanguisughe nella maglietta, se
poi mi porto dentro i ricordi di straordinarie avventure?
Rileggo con nostalgia tutte queste storie su Semm de passacc, sfoglio gli album di viaggi passati e guardo le foto migliori appese alle pareti di casa. Penso che sono stata fortunata a vivere tante esperienze, non rimpiango un centesimo speso in viaggi rinunciando ad altro, ma sono anche preoccupata per le occasioni perdute a causa della pandemia perché, al ritmo impressionante con cui stiamo devastando il pianeta, perdere due anni di viaggi - non mi aspetto che il 2021 sia tanto diverso dal 2020 - significa dire addio per sempre a paesaggi ed ecosistemi che non avrò più l'opportunità di vedere. La conversione all'ecoturismo che dava alle popolazioni locali una fonte di reddito preservando l'ambiente si è bloccata e lo sfruttamento delle risorse di foreste, mari, fiumi e montagne è ripreso senza regole. Tra l'altro, come ho già detto, questo "progresso" scellerato ci esporrà a nuovi virus, venendo a mancare il filtro naturale di altre specie animali, innescando un ciclo pericoloso da cui sarà difficile uscire.
Riuscirò a raggiungere i luoghi meravigliosi che indicavo sull'atlante da bambina prima che scompaiano o potrò soltanto leggerne su libri che li descriveranno usando il passato remoto?
Il mio zaino aspetta nell'armadio.
P.S. Riposa in pace, Raoul Casadei, colonna sonora delle mie estati in Romagna