domenica 28 marzo 2021

Forze della natura

Nell'ultimo post dicevo che stiamo vivendo un tempo immobile, ma in effetti c'è qualcosa che si muove proprio in queste settimane: l'Etna. Mi ricorda che il nostro pianeta è vivo e in costante trasformazione indipendentemente dalle vicende umane. 

Ma torniamo ai vulcani. Mi ricordo che quando con gli altri bambini del cortile ci arrampicavamo sul grande gelso, fingevamo di non poter scendere perché circondati dalla lava e dovevamo stare molto attenti a non cadere. Durante i miei viaggi ho visitato diversi vulcani, ma non l'Etna. 

Nel 2010 ho soggiornato a Samosir, un isolotto al centro della caldera del supervulcano che oggi ha il cratere occupato dal lago Toba. Faceva una certa impressione guardarsi intorno ed essere circondati dalle alte pareti del cratere, era come stare sospesi sopra una bocca spalancata pronta ad inghiottire lago, isola e tutto quello che c'era sopra.

Stromboli
Sono stata in cima a Stromboli e Vulcano nel 2011 durante dieci giorni di vacanza sulle bellissime isole Eolie. Durante la salita a Stromboli, sentivo le esplosioni sull'altro versante che mi rimbombavano nel petto e un miscuglio di paura ed eccitazione mi spingeva sul sentiero. Lungo il percorso, ho osservato una fontana di lava zampillare dal fianco del monte contro le nuvole al tramonto e ricordo il suono sia del potente spruzzo che dei pezzi infuocati che ricadevano a terra. Giunta in vetta che era ormai buio, ho potuto assistere allo spettacolo di fontane di lava alte duecento metri nel cielo notturno.

Kelimutu
Ho visto l'alba sorgere sui tre laghi acidi del vulcano Kelimutu sull'isola di Flores nel 2012. Un luogo dall'atmosfera magica e dai colori intensi, ricco di leggende e frequentato da scaltre scimmiette. Ricordo la natura rigogliosa nelle valli circostanti per il suolo reso fertile dalle passate eruzioni.

Anak Krakatau
Sono salita sull'Anak Krakatau nel 2013, il nuovo monte spuntato dalle acque dello Stretto della Sonda dopo la leggendaria eruzione del Krakatoa del 1883. Quello è stato il coronamento di un sogno perché la storia catastrofica del Krakatoa è sempre stata una delle mie preferite fin da ragazzina. Ce n'è un racconto molto dettagliato nel libro Tsunami di Walter Dudley e Min Lee e in una puntata di Ulisse con tanto di ricostruzione cinematografica del disastro che, grazie alle osservazioni dei testimoni dell'epoca, è stato uno dei primi laboratori di vulcanologia.

Hawaii
Nel 2014 ho camminato sulla crosta di un lago di lava, esplorando il favoloso parco nazionale dei vulcani alle Hawaii. Nell'immaginario comune, le Hawaii sono spiagge bianche frequentate da surfisti, ma per me l'isola più interessante ed emozionante è stata Big Island con i suoi vulcani giganti e distese di lava che si tuffano in mare, tunnel di lava solidificata con le pareti striate di metalli sciolti dal calore e paesaggi fermati nel tempo al momento in cui il vulcano li ha bloccati per sempre sotto una coltre nera.

E tutte le volte che sono stata a Bali mi sono trovata accanto, davanti o dentro un vulcano perché, come ogni isola indonesiana, è nata dai vulcani e vive sia grazie a loro che sotto la loro minaccia.

Ovunque nel mondo, al cospetto di questi monti di fuoco si percepisce davvero il pianeta che respira e si muove sotto i nostri piedi, la natura che si trasforma, i panorami che cambiano forma e colore. Si torna col pensiero ai primordi del pianeta, alle forze preistoriche che hanno modellato i continenti e innalzato catene montuose. Spaventoso, straordinario, bellissimo.

Ma sull'Etna non sono mai stata perché è un mostro di montagna alto più di tremila metri, un'escursione più adatta a un alpinista che a una turista digiuna di sport come me. Insomma, i vulcani mi affascinano da sempre, ma non c'è forza della natura che possa vincere la mia pigrizia.

lunedì 22 marzo 2021

I libri, almeno

Nel tempo immobile del lockdown i giorni sembrano tutti uguali e si susseguono con la sensazione che finiscano nella spazzatura inutilizzati. Le telefonate con gli amici non portano novità, ma rievocazioni nostalgiche di quando le cose accadevano e potevamo raccontarcele. Giorni, settimane e mesi vanno sprecati e la vita che abbiamo davanti sembra sempre più breve, perciò ci perdiamo a fantasticare su come ne sfrutteremo ogni istante, come coglieremo tutte le occasioni, come faremo tutte quelle cose che abbiamo sempre rimandato convinti di averne tutto il tempo, ma anche questo far progetti sta diventando ripetitivo mentre la data in cui potremo realizzarli rimane indefinita e si sposta ora in avanti, ora indietro a seconda dell'andamento della pandemia. Nel frattempo, tutto fermo.

L'unico stimolo che mi tiene accesa la mente in mezzo al poco che abbiamo da dirci è la lettura, l'ultimo numero di National Geographic, ebook e libri. 

Ho appena finito di leggere un ebook che mi sarebbe sicuramente piaciuto se non fosse stato rovinato da una pessima traduzione. Tre secondi a Bogotà di Mark Playne è la storia del viaggio attraverso gli stati del Sudamerica di un ragazzo inglese e della sua fidanzata originaria dell'Ecuador nel 1994. Lui vende gioielli d'argento nei mercatini e lei è un'artista di strada, ballerina, e grazie a questo loro modo di mantenersi conosceranno l'America Latina dal basso, dal punto di vista della gente comune e dei più poveri e dei giovani come loro con i portafogli pieni solo di sogni. Bella anche l'idea di raccontare quei mesi avventurosi partendo da una scena da thriller in cui i due giovani si trovano di notte in un taxi a Bogotà e il tassista ha un coltello puntato alla gola, nei tre secondi in cui il narratore pensa a come uscire da quella spaventosa situazione, ripercorre gli eventi che l'hanno condotto a quel momento. Sarebbe quindi stata una lettura davvero piacevole se il fastidio di una traduzione orrenda non avesse compromesso tutto. Mi è capitato di trovare errori di traduzione in altri libri, ma questo li batte tutti perché è un continuo strafalcione, dalla costruzione delle frasi rimasta quella inglese che in italiano non regge, alla traduzione letterale di modi di dire anziché cercare il corrispondente in italiano, dalla confusione tra maschile, femminile, singolare e plurale, a espressioni che nella nostra lingua non hanno senso. Il traduttore automatico di Google avrebbe fatto sicuramente di meglio. Sono arrivata in fondo solo perché volevo vedere come sarebbe andata a finire con il tassista, ma ho fatto davvero fatica. Se vi interessa, procuratevi la versione in lingua originale, questa è un'agonia.

Leggendo del Sudamerica, però, mi sono ricordata di avere un saggio acquistato tanti anni fa che non avevo ancora letto: Gringos. Cento anni di imperialismo in America Latina di Clara Nieto. Sia a scuola che sui media nostrani, ci viene raccontato molto poco della storia del cono sud del continente americano, soprattutto della sua storia moderna, mentre è più facile trovare letture o documentari sui misteri archeologici delle civiltà precolombiane o sulle meraviglie naturali in pericolo dell'Amazzonia, della Patagonia, delle Ande e del Centro America, oppure sulle vicende dei trafficanti di droga. Dittature, rivoluzioni e la violenta invadenza degli Stati Uniti, invece, ci arrivano come nozioni superficiali e confuse che ho sempre avuto voglia di approfondire e capire meglio. Il libro è del 2003 e ha preso polvere sul mio scaffale per tanto tempo, ma è arrivato il momento e due giorni fa ho cominciato a leggerlo. Ve ne parlerò quando l'avrò finito, ma tenete conto che sono oltre cinquecento pagine e non è il tipo di lettura che si può fare la sera a letto, quindi impiegherò qualche settimana ad arrivare in fondo. Per adesso posso dire che Clara Nieto descrive con chiarezza (ed è tradotta bene) e non annoia malgrado l'argomento sia per natura pesante e complesso. 

Insomma, sfrutto la mancanza di storia attuale messa in pausa dalla pandemia per esplorare tempi passati che avevo trascurato e so che quello trascorso a leggere non è mai tempo perso.



lunedì 15 marzo 2021

Nostalgia di viaggio

Hannibal Lecter chiedeva a Clarice come cominciamo a desiderare e diceva che il desiderio nasce da ciò che osserviamo ogni giorno. Quindi, cosa ho osservato tanto da far nascere il mio desiderio di viaggiare? Documentari e libri d'avventura, gente con le valigie nelle stazioni che aspettavano un treno per chissà dove, aerei che passavano in cielo... e un atlante De Agostini di fine anni Settanta che per quanto pesava doveva essere rilegato in cemento armato.

Lo sfogliavo in continuazione passando dalle meraviglie del sistema solare alle pietre preziose nella sezione di geologia fino alle mappe dei continenti.

Quando ero ragazzina c'erano l'Urss, una Berlino tagliata a metà e la Jugoslavia. La Jugoslavia era un posto dove il mare era molto bello e i bambini erano molto poveri. In estate, però, il mare portava loro tanti giocattoli di plastica colorata, palloni, secchielli e formine perduti tra le onde da bambini che, come me, trascorrevano le vacanze in Romagna.

Il mondo di allora era tanto diverso da quello di oggi quanto le mie fantasie erano lontane dalla realtà, ma è inseguendo quelle fantasie che sono andata a vedere certi luoghi, a dare una forma, un odore e un sapore ai nomi strani sulle cartine geografiche, è inseguendo fantasie che dalla Romagna sono approdata in Zambia, in Australia, in Indonesia, in Kenya, in Messico, in Cambogia, in Botswana, in Thailandia, su e giù per l'Italia e fino alle Hawaii.

Da lontano, dalla sicurezza delle nostre casette, ci facciamo scoraggiare da mille timori infondati, da mille pregiudizi inculcati da cattiva o scarsa informazione. I pericoli che si corrono viaggiando, sono gli stessi che ci aspettano sotto casa, quindi non ha senso temere di esplorare il resto del mondo. Certo, se prenoti un volo per una zona di guerra sei un deficiente, ma mi riferisco all'immotivata diffidenza verso culture diverse e ambienti selvaggi. Paura, pigrizia e mancanza di soldi sono tutti ostacoli superabili se si è disponibili a un po' di sacrificio. E comunque, tutti possono viaggiare: basta aprire un libro. 

Quando sei là, nel luogo che da casa ti sembrava irraggiungibile, scopri che la vita è molto più semplice di quanto ti aspettassi: la gente ti capisce anche se parli male la sua lingua; un viaggio scomodo può portarti a una meta di tale bellezza da farti dimenticare la fatica; osservare un animale selvatico, libero nel suo ambiente naturale, è un'emozione impagabile; assaggiare i piatti tipici ti introduce alla cultura locale; sbagliare autobus in un Paese straniero diventa occasione di incontri e scoperte; chiedere consiglio agli abitanti del luogo è molto più istruttivo e interessante che consultare una guida stampata; sostenere la salvaguardia della natura, che con le sue bellezze ci stupisce sempre, è motivo d'orgoglio.

Mi manca tutto del viaggio, perfino gli incidenti e gli imprevisti. Mi manca la fatica sul sentiero J3 nel Parco Nazionale d'Abruzzo che era così ripido da farmi desiderare di arrendermi e lasciarmi rotolare a valle. Mi manca l'orribile stanza al Motel Cowboy di Guerrero Negro in Messico e i posti di blocco lungo la Carretera Transpeninsular dove i cani antidroga si sentivano male per aver annusato il nostro sacchetto della biancheria sporca. Mi manca lavarmi alla luce di una torcia versandomi addosso un secchio d'acqua pescata nel pozzo del Way Kambas National Park. Mi manca l'autobus scassato e affollato che per portarci da Bukit Lawang al lago Toba ha impiegato sei ore a percorrere ottanta chilometri. Mi mancano i terribili marciapiedi di Ubud che mi sono costati una storta proprio il giorno della partenza per l'Australia. Mi mancano le lunghe marce nella giungla con gli indumenti che ti si fondono addosso per l'umidità e il temporale improvviso che ci ha costretti a nuotare - letteralmente - tra gli alberi. Mi manca l'attesa che la strada venga sgomberata da una frana per proseguire il viaggio - cosa che mi è capitata sia in Indonesia che in Messico -. Mi manca il furgone in cui dormivamo in tre percorrendo la costa orientale australiana che consumava un chilo d'olio al giorno e ci faceva vergognare nei campeggi in mezzo ai veri camper. Mi manca il panico nel parco Aberdare in Kenya quando il motore del pulmino di Fred si è surriscaldato e abbiamo versato la nostra scorta d'acqua di una settimana nel radiatore sperando di non restare bloccati su quel sentiero dimenticato dai turisti. Mi manca il caldo infernale che mi ha fatto quasi svenire in una piazza in Thailandia o dopo il percorso tra le risaie terrazzate di Bali alle due del pomeriggio e mi manca il freddo terribile della notte trascorsa all'aeroporto di Città del Messico in attesa del volo per la Baja California.

Ma in fondo cosa sono una caviglia dolorante, i pantaloni strappati, le scarpe piene di fango e un paio di sanguisughe nella maglietta, se poi mi porto dentro i ricordi di straordinarie avventure? 

Rileggo con nostalgia tutte queste storie su Semm de passacc, sfoglio gli album di viaggi passati e guardo le foto migliori appese alle pareti di casa. Penso che sono stata fortunata a vivere tante esperienze, non rimpiango un centesimo speso in viaggi rinunciando ad altro, ma sono anche preoccupata per le occasioni perdute a causa della pandemia perché, al ritmo impressionante con cui stiamo devastando il pianeta, perdere due anni di viaggi - non mi aspetto che il 2021 sia tanto diverso dal 2020 - significa dire addio per sempre a paesaggi ed ecosistemi che non avrò più l'opportunità di vedere. La conversione all'ecoturismo che dava alle popolazioni locali una fonte di reddito preservando l'ambiente si è bloccata e lo sfruttamento delle risorse di foreste, mari, fiumi e montagne è ripreso senza regole. Tra l'altro, come ho già detto, questo "progresso" scellerato ci esporrà a nuovi virus, venendo a mancare il filtro naturale di altre specie animali, innescando un ciclo pericoloso da cui sarà difficile uscire.

Riuscirò a raggiungere i luoghi meravigliosi che indicavo sull'atlante da bambina prima che scompaiano o potrò soltanto leggerne su libri che li descriveranno usando il passato remoto?

Il mio zaino aspetta nell'armadio.




P.S. Riposa in pace, Raoul Casadei, colonna sonora delle mie estati in Romagna

domenica 7 marzo 2021

Festa della donna

Non sono una ragazza carina, non è quello che faccio

Non sono una damigella in pericolo e non ho bisogno di essere salvata quindi mettimi giù, buffone

Non preferiresti una bella fanciulla? Non c'è una gattina bloccata su un albero da qualche parte?

Non sono una ragazza arrabbiata, ma sembra che abbia preso in giro tutti

Ogni volta che dico qualcosa che per loro è difficile sentire, se la prendono con la mia rabbia e mai con la loro paura

Immagina di essere una ragazza che prova ad essere finalmente onesta, pur sapendo benissimo che ti preferirebbero con la coscienza sporca e un bel sorriso

E mi dispiace, ma non sono una bella fanciulla e non sono una gattina bloccata su un albero da qualche parte

E di solito, la mia generazione non starebbe neanche morta al servizio di un uomo e in genere sono d'accordo con loro, il problema è che devi trovarti un piano alternativo

E ho guadagnato la mia disillusione, ho lavorato tutta la vita e sono una patriota e ho lottato per le giuste cause

E se non ci fossero damigelle in pericolo? E se io sapessi e scoprissi il tuo bluff?

Non pensi che ogni gattina riuscirebbe a scendere, anche senza di te?

Non sono una ragazza carina, non voglio proprio essere una ragazza carina

No, io voglio essere più di una ragazza carina

Ani Di Franco "Not a pretty girl", 1995